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Making Wilden | Food Alchemy according to Carol Povigna

Wilden.herbals meets makers and artisans close to the healthy and wild philosophy. Today we introduce you to Carol Povigna, coordinator of the Food Lab for the UNISG in Pollenzo.

Ripartire dalle cose semplici e rivoluzionare il modo in cui viviamo. Dietro ogni piccolo atto culturale, si nasconde una passione. È prima di tutto il rispetto per la natura a muovere ricercatori e professionisti vicini a Wilden.herbals. Il fil rouge che li lega è la voglia di vedere il mondo con occhi rinnovati e questa è la loro storia.

Gastronoma, laureata presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Carol Povigna da anni gioca col cibo, letteralmente. Esperta di pratiche di trasformazione gastronomica e organizzazione di cucina in ristoranti, Carol riveste da tempo ruoli di responsabilità. Dal 2013 lavora presso UNISG in progetti di ricerca e attività didattiche presso il Pollenzo Food Lab. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lei.

Ci racconti il tuo percorso?

Tutto parte nel 2007, l’anno in cui mi sono laureata all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo con la tesi Giovani e cibo: l’educazione alimentare come formazione ai rapporti etici. Inizialmente volevo lavorare nell’ambito della formazione, soprattutto con i bambini: mi interessava come la multidisciplinarietà, la didattica attiva e l’apprendimento esperienziale potessero sia rafforzare le conoscenze che veicolare modi e tradizioni relativi, soprattutto in una dimensione comunitaria: ad esempio, come si sta, come si interagisce con gli altri, eccetera. 

Sin dai tempi dell’Università utilizzavamo sia la produzione orticola sia la cucina, lavorando con le scuole e gli insegnanti. Ho continuato a farlo per qualche anno per poi iniziare una nuova esperienza in cucine professionali. Con gli anni ho scoperto che il mio interesse più grande era legato non tanto alla creazione culinaria quanto alle relazioni che si andavano a creare. È buffo a pensarci ma ogni giorno dovevo preparare una ricetta, uno standard del menu, per qualcuno che non conoscevo, qualcuno con cui non avevo una relazione: il cliente, una persona che tu, in quanto chef, devi soddisfare. Ecco, per me questa era l’aspetto più affascinante della cucina.

Nove anni fa sono tornata a Pollenzo – un po’ per caso. Stava nascendo il progetto Tavole Accademiche e allo stesso tempo stavo pensando di far nascere un progetto di scuola di cucina, un modello capace di mettere in discussione tutti i sistemi di lavoro standard di una cucina.

Tavole Accademiche mi ha aiutato tantissimo a maturare una consapevolezza nuova: per me ha significato lavorare ogni volta con chef diversi che portavano la loro storia e la loro filosofia all’interno dell’Università. Questi chef si muovevano in un ambiente sconosciuto e con materie prime che erano reperite tendenzialmente da noi che lavoravamo in loco, in Università. Spesso erano materie con cui magari non erano abituati a lavorare ma che per noi erano un riferimento all’interno del nostro percorso di Scienze Gastronomiche.

Ecco, il risultato di questo processo è stato l’inizio del progetto didattico “scuola di cucina”, poi divenuto il Pollenzo Food Lab: un modo di fare conoscenza in modo organizzato e organico ma soprattutto sistematizzato, ideale per chi vuole lavorare nell’ambito della cucina professionale o per chi vuole adottare le trasformazioni gastronomiche come veicolo sostenibile ed etico.

Cosa vuol dire per te fare formazione sul cibo e l’alimentazione? 

Vuol dire tante cose. Significa dare dignità a un corpus di saperi trasmessi, fino a qualche anno fa, all’interno del nucleo famigliare. Ha a che fare con un’esperienza emotiva: toccare la materia prima per elaborarla e trasformarla – che poi, è un percorso di vita e formativo. Credo che, a partire dagli anni ’50, sia venuto meno il ruolo dell’emozione nel cibo. Non è un caso se per me fare formazione sul cibo e attraverso il cibo vuol dire recuperare la forza emotiva di quei saperi. 

All’interno del Pollenzo Food Lab, quando costruiamo un’attività didattica, ci chiediamo come possiamo riuscire ad attivare questa forza emotiva, questa motivazione e passione, ma anche come possiamo convincere chi ci è davanti a farsi contaminare emotivamente per mettersi in gioco in tutti i sensi. Tutto questo per me è sinonimo di degustazioni, di mettere le mani in pasta, di essere protagonista di una sfida che annulla le barriere e recupera una conoscenza basata sulla pancia – simbolicamente e letteralmente.

Le Tavole Accademiche, la mensa dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo

Sbloccaci un ricordo: il rapporto col cibo durante l’infanzia

Il primo ricordo che mi viene in mente è mio padre che mi chiamava “manona”, ossia “incapace nell’utilizzo delle mani”. Quando cercavo di aiutare mamma o nonna in cucina, i risultati erano generalmente terribili. In Piemonte c’è un detto che faceva al mio caso e si traduce così: sei brava con la testa, ma non sei brava con le mani. E quindi…cucinavo molto con la sabbia e le pietre!

Il mio arrivo in cucina è stato vissuto come una vera sfida personale: volevo capovolgere finalmente questa mia nomea di “intelligente che non sa fare le cose”. Anche per questo ho vissuto fino a 18 anni un forte senso di inimicizia per il cibo e la gastronomia…per colpa di quel nomignolo, manona! Adesso però è diventato un ricordo divertente.

Com’è nata la collaborazione con Wilden.herbals?

Nicola Robecchi (fondatore di Wilden, ndr) è prima di tutto un collega di percorso universitario. In più è una persona ricca di conoscenze (e in più, capace di applicarle, non così scontato!) ma ancor di più di interagire nel mondo. 

Trovo che Wilden sia un progetto fantastico: si basa su uno studio etnobotanico e, attraverso i sensi, restituisce al consumatore un prodotto piacevole, ma che è allo stesso tempo ricco di contenuto e che riesce a creare una relazione con le persone. La tisana diventa una chiave per dare valore all’esperienza sensoriale ma è allo stesso tempo veicolo per la salute, il tutto nel pieno rispetto degli ecosistemi e con uno stile amichevole – perché se fai un lavoro di studio l’aspetto di divertimento delle persone è centrale e devi creare degli strumenti che possano coinvolgere e comunicare in modo immediato.

Ecco: Wilden lo sta facendo molto bene e sta riuscendo a creare qualcosa che prima non esisteva. Sono prodotti nuovi, basati su tradizioni antichissime e con radici profonde sul territorio, capaci di costruire un nuovo sistema e una nuova consapevolezza di consumo.

“Sani e selvaggi” è il motto di Wilden.herbals. Cosa vuol dire per te essere ‘sani e selvaggi’?

Selvaggi è una parola bellissima: racchiude l’irriverenza, l’istinto, il divertimento, la voglia di mettersi in discussione, insieme al carattere naturale, spontaneo. Nella naturalità è presente un orientamento innato al preservarsi, al prevenire, al prendersi cura di sé per rimanere sani.

Ecco (e mi ricollego alla che mi hai fatto!): trasformare la materia prima vuol dire prendersi cura, ma questo non può succedere senza un certo grado di selvaticume.

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